Alfabeti e lingue dell'Abruzzo preromano. 1: la fase più antica

Sintesi della prima parte del mio intervento nella Conferenza su Lingue e Culture dell'Italia medioadriatica tenutosi a Velletri, 25 novembre 2013 (vd. sezione Eventi).   

 

 La scrittura in Italia, come è risaputo, è un’acquisizione piuttosto tarda rispetto ad altre aree del bacino del Mediterraneo, e non di origine autoctona. L’uso dell’alfabeto sembra essere trasmesso dai Fenici in Grecia (IX secolo a.C.); dai Greci delle colonie (Cuma) all’Etruria e al Lazio (VIII secolo a.C.); infine, attraverso la Sabina tiberina esso si trasmette in direzione dell’Appennino e del versante adriatico, non prima del VII sec. a.C.

La base degli alfabeti trasmessi in Italia è sicuramente euboico-calcidese, rientrante dunque negli alfabeti definiti “rossi” secondo la classificazione del Kirchoff (1887).

Al VII secolo risalgono le primissime iscrizioni rinvenute nel territorio. Sono in numero molto esiguo e concentrate soprattutto nelle aree interne della Sabina: due provengono da Magliano Sabina e una da Poggio Sommavilla (entrambe le località sono site nel reatino); vi sono inoltre, come vedremo, sporadiche attestazioni dello stesso alfabeto e della stessa lingua in territorio etrusco, a Chiusi (SI) e al Ferrone di Tolfa (RM), mentre un biconico sporadico con iscrizione in sabino, probabilmente prodotto da fabbrica di Otricoli, è conservato in Svezia (Uppsala, vicino Stoccolma). L’alfabeto ha caratteristiche diverse tanto dal latino, quanto dall’etrusco e dagli alfabeti utilizzati successivamente in territorio falisco ed abruzzese. 

In questo momento non solo l’assimilazione dell’alfabeto appare già compiuta, ma è stato assorbito anche l’apparato ideologico che era ad esso collegato nel mondo etrusco e laziale. Appare chiaro che i fruitori del mezzo scrittorio, in questa quota cronologica, sono esclusivamente –almeno dalle testimonianze pervenuteci- esponenti del ceto aristocratico; la scrittura è essa stessa un’indicazione di prestigio e di status (vd. Sassatelli in Principi etruschi).

A partire dal VI secolo a.C., almeno per quanto possiamo comprendere dalle testimonianze epigrafiche, l’uso della scrittura si diffonde anche verso l’Adriatico. Tra il VI ed il III secolo a.C., infatti, abbiamo testimonianza di un peculiare sistema alfabetico collegato ad una lingua di origine e diffusione locale: sia l’alfabeto che la lingua prendono il nome di “paleosabellico” (A. La Regina; A. Morandi, invece, propose il termine “medioadriatico” e A. Marinetti “sudpiceno”).

Le 23 iscrizioni, di cui solo 2 databili al VI secolo a.C. e le restanti al V, fatta eccezione per due del III, sono distribuite in un ampio territorio che travalica i confini della Regio IV augustea; sono attestate a nord fino alle province di Macerata e Ascoli Piceno, a ovest in Sabina (Farfa), a sud fino a Crecchio (CH). Il picco della densità è tra il territorio piceno e pretuzio, mentre gli esemplari di Crecchio, della valle superequana e della Sabina rappresentano una piccola parte del totale delle attestazioni.

Le più antiche iscrizioni paleosabelliche sembrano essere due.

Una, graffita su una pisside con coperchio proveniente dalla tomba 100 di Campovalano di Campli (Teramo), è databile per contesto e per tipologia alla fine del VII-inizi VI secolo a.C. (La Regina in Pinna Vestinorum, 2010); consiste di due parole unite in scriptio continua, interpretabili come iscrizione di possesso, A[---?]nies esum, “A(…)nii sum”.

 La seconda, famosissima, è apposta su una statua di dimensioni superiori a quelle naturali, rinvenuta nel 1934 a Capo d’Acqua presso Capestrano (AQ), databile al 575-550 a.C. Il pilastrino sinistro della statua reca un’iscrizione in scriptio continua retrograda che è stata interpretata in vari modi; il più plausibile mi pare il seguente: ma kuprí koram opsút Aninis raki Nevií Pompuledií, “me bella immagine fece Aninis per il re Nevio Pompuledio”. La lettura in questione è stata proposta da A. La Regina nel 1978, successivamente contestata dal Rix (Sabellische Texte, 2002) seguito da M. Ruggeri ed altri nel 2007 (Guerrieri e re dell’Abruzzo antico); infine riproposta dallo stesso La Regina, con esaurienti argomentazioni, nel 2010. (Vd. anche il mio contributo nella sezione Articoli).

 

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