Alfabeti e lingue dell’Italia preromana: 2. Dal V secolo a.C. alla romanizzazione

 Il V secolo a.C. sembra rappresentare una cesura nella storia delle popolazioni sabelliche; cesura che ha dei paralleli anche nella storia di Roma. Le testimonianze archeologiche ci trasmettono l’immagine di un impoverimento e livellamento dei corredi funerari, dovuto probabilmente non ad una reale crisi economica, ma alla promulgazione di leggi suntuarie (se è lecito effettuare un parallelo con Roma); di un allargamento della base sociale con redistribuzione delle ricchezze; e della nascita del concetto di “pubblico”, non nel senso di “stato” nella moderna accezione, ma nel senso di un’autorità dei capi –nerf, “principes”- esercitata con il consenso della collettività (vd. per questo di nuovo La Regina 2010). 

Al V secolo possono essere datate, soprattutto su base paleografica (sono per lo più prive di contesto), quasi tutte le iscrizioni dette “sudpicene” o “paleosabelliche”. Tra queste è possibile annoverare le tre iscrizioni su stele (vd. immagine) provenienti da Penna Sant’Andrea (TE), rinvenute nel 1973 nell’area della necropoli di Monte Giove (area funeraria sicuramente connessa al santuario) ma di cui non si è mai individuato il contesto, neanche nelle recenti ricerche della Soprintendenza abruzzese.

Le stele, di cui una sola intera, hanno una forma rettangolare allungata e di spessore ridotto con una sommità arrotondata, su cui è incisa una testa umana molto stilizzata in rilievo. Al di sopra si trova un dente che doveva servire, probabilmente, per mantenere un copricapo, probabilmente analogo a quello del Guerriero di Capestrano. Sono importanti anche perché, pur non essendo state tradotte completamente, permettono una comprensione maggiore tanto della definizione etnica delle popolazioni stanziate in questi luoghi, quanto delle profonde trasformazioni politiche ed istituzionali che interessano il territorio sabellico in questo periodo.         

Il termine Safino-  corrisponde al sabino- del versante tirrenico, da una stessa radice *sabh-; attesta che la popolazione della valle del Vomano si considerava parte dell’ethnos sabino e “sua proiezione lungo la Salaria” (A. L. Prosdocimi).

Le iscrizioni di V secolo hanno un carattere che si può già definire “pubblico” ed esprimono la volontà di una comunità (Safina-touta), con una propria coscienza etnica e principes (nerf) che sono al servizio della collettività e ad essa rispondono.

Il periodo successivo, dal IV secolo in poi, è quello in cui il territorio di cui ci stiamo occupando è interessato da radicali trasformazioni, conseguenza del complesso processo definibile come romanizzazione(vd. Toynbee; Coarelli in Sisani 2007).

Un estremo attardamento dell’alfabeto locale è rappresentato da due iscrizioni su elmi, rinvenuti in località al di fuori del territorio medio-adriatico (Canosa di Bari e Bologna); gli elmi sono databili tipologicamente alla piena età ellenistica, ma la lingua e l’alfabeto delle iscrizioni sono paleosabellici.

Le élites locali iniziano, già da un periodo abbastanza antico, a interagire con quelle dei territori romanizzati, adottandone non solo il costume, ma anche i tratti salienti del sistema istituzionale ed amministrativo e l’alfabeto, adattato però alle lingue sabelliche. L’attività militare a fianco di Roma, a partire dalle guerre puniche, potenzia inoltre tale legame, permettendo tra l’altro l’ascesa di un ceto dirigente nuovo, la cui potenza si fondava sulle ricchezze accumulate con le campagne militari e le attività commerciali nel bacino del Mediterraneo (per tutto questo si veda soprattutto E. Campanile). In territorio sannitico, invece, l’alfabeto e la lingua utilizzati sono ancora quelli osci, e tali rimangono fino alla completa romanizzazione.

Con la guerra sociale (I secolo a.C.), dovuta peraltro al desiderio di ottenere la cittadinanza romana e dunque di essere inseriti pienamente nel sistema politico ed economico di Roma, godendone anche i numerosi vantaggi, cessa l’uso delle lingue sabelliche in favore dell’adozione massiccia del latino. In questo periodo anche il significato stesso dell’uso della scrittura è totalmente omologato a quello che riveste a Roma: si moltiplicano le iscrizioni funerarie e votive e si verifica un’impennata della presenza di iscrizioni pubbliche e celebrative, con menzione di cariche istituzionali e religiose spesso ricalcate su quelle romane (l’importazione di cariche pubbliche dal sistema istituzionale romano era già iniziata nell’ellenismo: vd. Campanile, Letta 1972).

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