Il ver sacrum e l’origine dei popoli sabellici

Moneta sannitica della Guerra sociale  con il toro, animale totemico di questa popolazione (per l'immagine si ringrazia V. Acconcia).
Moneta sannitica della Guerra sociale con il toro, animale totemico di questa popolazione (per l'immagine si ringrazia V. Acconcia).

Le testimonianze archeologiche provenienti dal territorio abruzzese ci danno una conferma importante a ciò che anche le fonti antiche trasmettono; è stato così possibile stabilire come, con premesse già dal IX secolo, si consolidi in questo periodo la safina touta, “comunità sabina”, il cui territorio dovrebbe corrispondere alla fascia di territorio compreso tra l’Adriatico ed il Tevere; essa è sentita dagli Italici come la “comunità” per eccellenza. Tutte le fonti antiche concordano nel ricordare i Sabini, stanziati nell’Appennino interno fino alla sponda orientale del Tevere, come il vero nucleo di questa comunità e come una popolazione antichissima, precedente la formazione delle altre (Strab., Geogr., V, 2): gli autori antichi collegano l’inizio della sua espansione (che avrebbe dato origine alle popolazioni del versante adriatico)  alla pratica del ver sacrum.

Scrive Festo (Paul. Fest., De verb. signif., fr.519 Lindsay): “Il ver sacrum fu un’usanza di consacrazione presso gli Italici. Infatti, mossi a ciò in caso di grandi calamità, destinavano qualsiasi vivente nato tra di essi nell’ultima primavera ad essere sacrificato. Ma, convinti che fosse cosa crudele l’uccisione di ragazzi e ragazze innocenti, dopo averli allevati fino all’età adulta, erano soliti spingerli, bendati, fuori dai loro territori”.

Le testimonianze principali di questo uso provengono dalle fonti antiche di età romana, soprattutto Catone (234-149 a.C.), Varrone (116-27 a.C.) e Strabone (60 a.C.-20 d.C. ca.), conservati attraverso autori posteriori (Dionisio di Alicarnasso, Festo) che trasmettono la descrizione particolareggiata di come doveva svolgersi il rito (Strabone, V, 4, 12).

Le migrazioni, sempre secondo gli storici di età romana, erano guidate da un animale “totemico”: così, ad esempio, i Picentes deriverebbero il proprio nome dal picchio, picus, che li guidò fino al nuovo luogo di residenza: La regione picena, in cui si trova Ascoli, fu chiamata così dai Sabini, poichè quando si stavano dirigendo dal territorio di origine verso Ascoli, sorti tramite un ver sacrum, un picchio era posato sul loro vessillo” (Fest., fr. 264 Lindsay). Plinio definisce addirittura Ravenna “cittadella dei Sabini”. Ciò incontra però un ostacolo alla luce dei documenti epigrafici: le stele provenienti da Loro Piceno (MC) e dintorni trasmettono il termine púpún-, che (ammesso che sia l’etnico con cui questo popolo si autodefiniva) linguisticamente ha poco o niente a che vedere con la radice *pik- alla base del nome con cui erano chiamati dai Romani (Prosdocimi 2000; di opinione differente La Regina 2010).  

Picentes  e Samnites sono detti derivare, in tempi successivi, direttamente dai Sabini tramite il ver sacrum, come affermato in Gellio XI, 15: “Samnites, qui sunt a Sabinis vere orti”; epigraficamente è certo che esista un corrispettivo all’etnico Sabini nel safin- del versante adriatico e nel tardo safinim delle iscrizioni sannitiche. Inoltre, nella valle del Sangro, è di estremo interesse la menzione di un “locum qui dicitur Safinum”, citato in un documento del 1098, e localizzato tra Barrea, Civitella Alfedena, la Camosciara e Villetta Barrea, che attesta la sopravvivenza dell’etnico nei millenni (Grossi 1988). Le popolazioni dell’attuale Abruzzo, dunque, si consideravano discendenti dei Sabini. 

Anche l’origine dei Sanniti è legata ad un animale: i Sanniti Pentri avrebbero avuto come totem un bue e si sarebbero sovrapposti al popolo degli Opici, stanziati nel territorio in cui posero la loro nuova residenza. Ancora più tardi, dai Sanniti si sarebbero staccati gli Irpini, il cui nome deriva da hirpus, “lupo” (Strab., Geogr., V, 4, 12; Fest., p. 93 L; Serv., Ad Aen. XI, 785).

Secondo le fonti antiche, i rapporti tra Sabini e Romani sono stati sempre molto stretti, tanto che i re Tito Tazio e Numa Pompilio sono ricordati come sabini dallo stesso storico, che ne individua la città di origine in Cures (Strab., Geogr. V, 3, 1).

Tali affermazioni sono state verificate in questi ultimi decenni attraverso le attestazioni archeologiche: nelle Marche (Sirolo, AN; Pitino di S. Severino, MC) appaiono, a partire dal VII secolo a.C., tombe ad inumazione con kardiophylakes e gladi a stami di derivazione sabellica (La Regina 1988), mentre nel Lazio tra VIII e VII sec. a.C. in alcune sepolture privilegiate vengono enfatizzati i tratti che denunciano appartenenza alla stirpe sabina. La connotazione guerriera dei corredi delle necropoli, con la presenza di armi ed ornamenti immediatamente riconoscibili, è quindi riscontrabile sia nel versante abruzzese che in quello laziale.

 L’origine sabina comune di alcuni popoli sembra essere confermata anche dalla toponomastica. Ancora oggi esistono, infatti, relitti linguistici sabini sia nel versante abruzzese che in quello tirrenico: alla sabina Oricola (AQ), che conserva la radice okar/okri-, che sta per “arx”, cittadella fortificata, corrispondono nel versante appenninico Otricoli (TR) ed Ocre, presso Fossa (AQ) ed in quello adriatico Crecchio-Ocriculum (CH). Nel VII secolo a.C. è la Sabina tiberina a partecipare delle trasformazioni culturali e degli influssi innovativi provenienti dall’Etruria: non a caso le prime attestazioni dell’uso della scrittura – la fiaschetta di Poggio Sommavilla e, un secolo dopo, il cippo di Farfa (RI) -  provengono da questa zona. L’unità è riconfermata, anche a distanza di secoli, dalle stele di Penna Sant’Andrea (TE) che riportano l’etnico safinús.  

Le ricerche degli anni Ottanta e successive, però, hanno integrato questo quadro con considerazioni su base archeologica che, se non invalidano i veria sacra come origine di alcuni popoli, rafforzano la convinzione che i nuclei originari di alcune delle popolazioni fossero già presenti nei territori in esame in modo ininterrotto: è il caso degli abitanti del Fucino (Radmilli 1985; Campanelli 2001; D’Ercole et al. 2003). 

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