Anversa dei tesori sconosciuti

I Peligni sono uno dei popoli insediati, prima della conquista da parte di Roma, in quella che diverrà la Regio IV[1]. Occupavano la parte centrale dell’attuale Abruzzo, corrispondente alle attuali valli peligna e superequana.

Il territorio dei Peligni è quasi completamente montuoso, ad eccezione della piana settentrionale in cui sono localizzati i due centri principali di Corfinium e Sulmo; le vie di comunicazione si articolano lungo passaggi obbligati rappresentati dalle vallate dei fiumi e dai valichi montani.

Nei luoghi posti in posizione “periferica” rispetto ai grandi assi di comunicazione, quali l’alta valle del fiume Sagittario, a S di Corfinio, si verificano attardamenti nello sviluppo insediativo, con la permanenza fino al I secolo a.C. di un modello di tipo “paganico-vicano”[2].  

Gli scavi effettuati dalla Soprintendenza Archeologica abruzzese hanno individuato almeno tre aree di necropoli nei pressi dell’attuale comune di Anversa degli Abruzzi (AQ).

Le necropoli di Coccitelle e Fonte Curzio presentano inumazioni in fossa, con perimetro e copertura in lastroni calcarei, con tombe disposte su un pendio secondo le caratteristiche del terreno. La tomba 30 di Coccitelle presentava una deposizione supina femminile con servizio ceramico intorno al corpo e ornamenti indossati come in vita (nelle tombe maschili lo stesso si riscontra per le armi). Il corredo mostra tratti comuni a tutto il territorio peligno, quali il servizio da tre pezzi ceramici (olla grande, coppa, brocchetta o anforetta); ma sono presenti oggetti personali di connotazione arcaica che denotano l’inserimento di questa località in una direttrice commerciale che collegava il territorio peligno con la Daunia, passando per il Sannio: il collare[3] ha confronti ad Alfedena in sepolture di V-IV secolo a.C; la coppa monoansata[4] è attestata nelle necropoli vestine (Loreto Aprutino-Cappuccini) e sannite (Alfedena) dello stesso periodo. I tre dischi in osso[5], parte di un diadema, e la fibula a doppia ondulazione[6], sono invece attestati a Sulmona e tra i Vestini (Nocciano) in età arcaica. La tomba, quindi, si può datare per la presenza di ceramica a vernice nera[7] all’età ellenistica, ma gli ornamenti si inquadrano ancora in un orizzonte tardo-arcaico.

A Cimitero dei Pagani le tombe presentano una struttura a “grotticella”, ossia ad ipogeo scavato nella breccia; questa può essere considerata tipica dei Peligni, con esempi nelle località limitrofe (Capestrano nei Vestini, Ortucchio nei Marsi)[8].

La t. 3 ha dromos centrale ed è priva di banchina; il corpo si trovava disteso, perpendicolare al dromos, con il corredo ceramico intorno. Si nota una compresenza di materiali locali con altri di importazione o imitazione daunia: un’anfora canosina [9]e un kantharos[10], che la datano alla prima metà del III secolo a.C., e con un unguentario di tipo centroitalico[11] diffuso anche nel versante tirrenico e nel territorio vestino e marrucino dal IV al I secolo a.C.                             

Nella stessa necropoli è possibile individuare i mutamenti che si verificano nel costume funerario in un periodo di più avanzata romanizzazione. La tomba 7, maschile (fig. in alto), presenta un’anfora a base piana da trasporto[12], un unguentario lekythoide[13], una coppa a vernice rossa e una tazza a pareti sottili, che la datano almeno alla prima metà del I secolo a.C.; si notano la persistenza dell’uso dell’inumazione e del servizio da banchetto da tre pezzi, ma con la sostituzione dei pezzi tradizionali con altri caricati di un valore ideologico: dal periodo successivo alla guerra annibalica l’anfora da trasporto compare nelle tombe come sostitutiva dell’olla, allo scopo di evidenziare l’appartenenza dell’individuo sepolto al nuovo ceto dirigente, che traeva ricchezza e prestigio dalla partecipazione ai commerci e alle imprese militari romane nel Mediterraneo. Si conserva l’uso, largamente attestato a Corfinio, di apporre un vaso a due manici all’ingresso del dromos, ma il tradizionale vaso peligno in piombo[14], è sostituito con uno in bronzo ad anse affrontate[15]. Inoltre, al posto delle armi, in questa tomba è presente lo strigile[16]. 

Mentre a Corfinio e Sulmona si compie definitivamente il processo di urbanizzazione, nella valle del Sagittario si verifica una perdita di importanza di queste necropoli. La frequentazione della vallata però continua: Strabone[17] tramanda il nome di una polis Koukolon (Cocullo); documenti epigrafici testimoniano l’esistenza di un pagus Betifulum nei pressi dell’attuale Scanno. Le iscrizioni, in latino e databili alla fine del I secolo a.C., restituiscono l’immagine di un distretto di discreta importanza e sembrano confermare l’intenso rapporto che le principali famiglie delle élites locali intrattenevano con il ceto dirigente dei dominatori[18].

 

Questo breve contributo è pubblicato in: Bollettino dell'Associazione Internazionale di Archeologia Classica, 2013.  Un contributo più ampio, sullo stesso tema, è in corso di pubblicazione a cura dell'Archeoclub di Sulmona.

Per informazioni, visite guidate, consulenze, collaborazione a convegni, seminari, pubblicazioni, scavi e ricognizioni archeologiche: scrivere ad archeologiaabruzzo@gmail.com

[1] Strab., Geogr., V.

[2] Fest., f. 502 L. : (vici)… ex agris, qui ibi villas non habent, ut Marsi aut Paeligni; per il significato della definizione e le diverse interpretazioni vd. La Regina 1970, pp. 446-448; Tarpin 2002.

[3] Parise Badoni, Ruggeri Giove 1980, fig. 30.1, p. XX e tt. 55 e 81; NotSc 1878, pp. 316-318; Riccitelli 2003, p. 107, fig. 132.

[4] Cfr. Sannio 1980, p. 69, fig. 21.2; Staffa 2010, pp. 102-103 e fig. 192.

[5] Tuteri 2002, p. 53; cfr. NotSc 1892, p. 432.

[6] Guzzo 1972, p. 122; Lollini 1976, p. 140 fig. 11; Mattiocco 1981, tav. LXVI, n. 1; D’Ercole, Chiaramonte Trerè 2003, tav. 80 t. 119.   

[7] Cfr. Morel 1981, vol. II, pl. 108; Cederna 1951, p. 205, fig. 14, n. 33.

[8] Le principali ipotesi sull’origine di tale struttura la fanno derivare dalle tombe a camera ipogeica etrusche o, viceversa, dagli ipogei dauni.

[9] Tuteri 2002 pp. 42-59; NotSc 1971, pp. 728 ss, tav. 29. Cfr. Maes, Wonterghem 1972, pp. 615 ss; De Juliis 1997, pp. 129-134.  

[10] Romito, Sangiovanni 2008, p. 211; cfr. Iker 1986, pp. 467-468, figg. 225-228; De Juliis 1997, pp. 126-129.

[11] Staffa 2010, p. 83. Cfr. Forti 1962, p. 143 ss.; Morel 1981, pl. 200; Camilli 1999, p. 75; D’Ercole, Copersino 2003, pp. 118 ss.

[12] Cfr: Wonterghem 1984, p. 147, fig. 162; Zevi 1966, pp. 225-226.

[13] Romito, Sangiovanni 2008, pp. 211-212; Tuteri 2002, pp. 42-59. Cfr. Forti 1962, p. 143 ss., tav. VII; Camilli 1999, p. 67 tav. 9.

[14] Wonterghem 1968, p. 284 e tav. III, fig. 7; Sannibale 1994, p. 130, n. 21.7; Szilagyi 2009, pp. 361-367.

[15] Cfr: Wonterghem 1968, p. 284 e tav. III, fig. 8; Sannibale 1994, pp. 130-133, nn. 21.7 e 21.8.

[16] Romito, Sangiovanni 2008, pp. 211-212.Cfr. D’Ercole, Copersino 2003, p. 349 fig. 19; Wonterghem 1984, p. 150 fig. 166; Martelli 1976, pp. 46-47.

[17] Geogr. V, 3, 11.

[18] Prima iscrizione: C. Caidio. L. F. / S. Ser. Praesenti / Ann. XXXIIX / decurio / primus. a / Betifulo.  Piccirilli 1933, p. 461; CIL IX, 3088=Dessau 1892-1906, n. 6531; Febonio 1678, l. III, p. 112; Forni 1979, pp. 147-148, n. 2. Seconda iscr.: L. Caidius. L. (f.) / Ser(gia tribu) Speratus / viv(us) sibi et Alfia(e) / Q. f. Secundae / uxori / L. Caidio L. f. Ser(gia tribu) Afro / IIIIviro aedili f(ilio). Piccirilli 1933, pp. 460 ss; La Regina 1968, pp. 435 ss; AE 1968, p. 149; Accivile et al. 1974, p. 27; Forni 1979, pp. 145-146 e fig. 1.

 

Scrivi commento

Commenti: 0