Gli Italici con Roma. Soldati, mercanti e ospiti

Mentre i popoli del Sannio -come tutti sappiamo- continuarono a combattere contro Roma per secoli, dal IV secolo a.C. fino alla guerra sociale, i popoli abruzzesi seguirono un'altra strada.

Livio, uno scrittore del I secolo a.C. che rappresenta la nostra principale fonte scritta sulla storia di Roma, ci tramanda l'esistenza di un patto, un foedus, che fu stipulato tra Roma e i popoli sabellici nel 304 a.C.. Da quel momento in poi, a parte rivolte isolate, non sembra che gli abruzzesi abbiano dato tanto filo da torcere ai loro alleati: anzi, andando avanti con i secoli le menzioni di italici che rendono dei servigi a Roma sono sempre più frequenti.  Nel 295 a.C., quando i Sanniti tornavano sconfitti dalla battaglia di Sentino, l'autore racconta che furono intercettati e annientati nel territorio peligno proprio dagli abitanti del posto, ormai fedelissimi alleati della nuova potenza.  

Il luogo in cui si verifica la collaborazione più fruttuosa per entrambe le parti è l'esercito romano: Latini e Italici, soprattutto dal periodo delle guerre puniche (III sec. a.C.), vengono reclutati e impiegati nelle campagne militari di conquista, in Africa ed in Asia; non di rado si segnalano per il coraggio e la dedizione, come nel caso di un Vibio, molto probabilmente un peligno di Corfinio, che durante la guerra annibalica a Benevento ebbe il coraggio di sfondare le linee puniche e fu premiato dal suo generale; a quel punto, i colleghi romani, punti sul vivo dalla superiorità di un non romano, lo imitarono...

Tra i personaggi di cui ci è giunta notizia, uno, proveniente dalla Marsica, doveva aver avuto un ruolo di grande spicco come capo militare nella guerra contro Pirro (280-272 a.C.). Il suo nome, Caso Cantovio, ci è stato tramandato da una laminetta iscritta di bronzo, rinvenuta nell'800 negli scavi del muro di cinta intorno all'antica città di Angitia (nel territorio dell'attuale Luco dei Marsi), dove esisteva un grande santuario dedicato all'omonima dea: una divinità ctonia dei morti, della fertilità e della guarigione dai morsi di serpente. La lamina infatti doveva essere un ex voto dedicato dai compagni di Caso Cantovio alla dea: essa infatti recita, in lingua marsa e alfabeto latino: "Caso Cantovio Aprufclano conquistò presso il confine gallico, nella città Casontonia, e i compagni portarono in dono ad Angizia per le legioni dei Marsi". Non sappiamo cosa avesse conquistato: la laminetta ha i bordi forati ed è stata ritagliata da un cinturone a fascia, di quelli usati dai guerrieri, per affiggerla su un altro oggetto. Si pensa che lo scritto alluda a spoglie militari, che poi i commilitoni (evidentemente dopo la morte in battaglia del personaggio) portarono al santuario principale della dea della nazione marsa.   

In cambio, però, gli italici ricevettero moltissimo, in termini di ricchezza proveniente dai nuovi mercati aperti dalle conquiste romane, ma anche in termini di prestigio. Nasce nel periodo ellenistico, un po' ovunque in Abruzzo, un'intera classe sociale, dedita al commercio marittimo e che occupa una posizione di vertice in patria. Il principale motivo per cui due secoli dopo i Sabelli si ribellarono a Roma è proprio il fatto che si erano impegnati strenuamente nel difenderla, nell'arricchirla, nel sostenerla in ogni modo, e nonostante tutto Roma non aveva ancora riconosciuto loro il diritto alla cittadinanza e alla pari dignità. Un esempio di famiglia abruzzese (probabilmente marsa) che divenne potente con il commercio a largo raggio tra il II e il I secolo a.C. è rappresentato dai famosi Peticii, i cui rappresentanti erano ricchissimi commercianti in vino e hanno lasciato tracce epigrafiche dal Nordafrica all'Italia settentrionale. La più famosa delle attestazioni, però, è quella sulla statuetta di Ercole a Sulmona, creata nel III secolo a.C. da un artista della cerchia di Lisippo e dedicata due secoli dopo da un M. Attius Peticius Marsus per grazia ricevuta. Rinvenuta nel 1960 nel santuario di Ercole Curino presso la Badia Morronese, è attualmente esposta nel Museo Archeologico Nazionale di Chieti.

Anche i rapporti privati tra cittadini romani e sabelli furono quasi sempre ottimi: un altro documento epigrafico ci testimonia l'istituto dell''ospitalità, simile alla prossenia greca, secondo cui tra due individui, uno romano e uno italico, si creava un vincolo tale che ognuno era considerato hospes a casa dell'altro. Si tratta di due tesserae hospitales, datate al II secolo a.C., a forma di due mezze teste di ariete combacianti, ognuna delle quali era detenuta da uno dei due contraenti di questo vincolo: ne abbiamo una sola, iscritta in latino e proveniente da Ortucchio (AQ), su cui figurano i nomi di un T. Manlius, romano, e di un T.  Staiodius, marso, legati dalla parola hospes.  

 

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