Il complesso di *Ocriticum (Cansano, AQ)

L'articolo è una mia brevissima sintesi a scopo divulgativo del volume Ocriticum, Frammenti di terra e di cielo, a cura di R. Tuteri, Sulmona 2005. Le fotografie sono tratte dalla stessa pubblicazione.

Poco a meridione di Sulmona, lungo l’arteria di collegamento con il Sannio, è stato dapprima segnalato e poi scavato un sito di una certa importanza, in correlazione con un importante centro fortificato (Colle Mitra, che è anche uno dei punti di riferimento dello sviluppo urbano di Sulmona) e successivamente trasformatosi in un articolato complesso il cui polo principale diviene un’area sacra, frequentata a partire dal IV secolo a.C.; il nucleo di abitazioni, in conseguenza della prossimità al santuario, con il tempo si è andato espandendo, dando origine da una parte all’elaborazione di un assetto viario simile in scala ridotta a quello di Sulmona, dall’altra alla nascita di attività produttive connesse al luogo di culto. L’area conserva ancora tracce delle fortificazioni più antiche e ampi tratti delle mura di confine.

Le fonti antiche e medievali testimoniano l’esistenza di una mansio in questa località, chiamata Iovis Larene, come si legge nella Tabula Peutingeriana, che viene collocata a poche miglia di distanza da Sulmona. Fino al secolo scorso, però, non si possedevano abbastanza elementi per localizzarla in modo certo: tutta la zona compresa tra le attuali Cansano, Campo di Giove, Pescocostanzo e Pacentro ha restituito testimonianze archeologiche di varia natura, tanto che alcuni studiosi, servendosi di argomenti toponomastici, collocavano Iovis Larene presso Campo di Giove.

Gli scavi e gli studi hanno trasmesso l’immagine di un sito –come si è detto- di tipo complesso, che sembra iniziare dall’età arcaica, come tutti i vici dell’area sulmonese, con un piccolo nucleo sorvegliato dal vicino Colle Mitra, centro fortificato di imponenti dimensioni posto a circa 1000 metri di quota (Mattiocco 1981); la frequentazione è testimoniata senza soluzione di continuità dal VI a.C. fino al Medioevo. L’approvvigionamento d’acqua era garantito dalle fonti dette di Grascito e Sulmontina, mentre  la via Nova garantiva trasporti di materiale e comunicazioni.

A partire da un periodo compreso tra il III e il II sec. a.C. l’abitato sembra svilupparsi maggiormente, espandendosi su di un’area di pianoro ed assumendo connotazione quasi “urbana”, e viene cinto da mura; due viae glareatae, entrambe larghe circa 3 m, una con andamento N-S e una E-W, si intersecavano sul pianoro stesso formando probabilmente la griglia su cui si sviluppò l’abitato ellenistico. In direzione S è stata indagata un’area con alcune sepolture, definita ”necropoli meridionale”, e proprio in questa zona è stato rinvenuto il cippo di Paccius Argynnus, insieme con un edificio sepolcrale a dado databile tra il I a.C. e il I d.C.

Il vero polo di attrazione di tutto il complesso, però, sembra essere rappresentato, già dal primo ellenismo, da un santuario sito ad E dell’abitato, sulle pendici del Colle Mitra. Il luogo sacro presenta una   struttura a terrazze, non dissimile da quella degli altri santuari della conca peligna, e un’articolazione interna complessa, frutto di una frequentazione durata almeno otto secoli, dal IV secolo a.C. al IV d.C. e della successione di almeno quattro fasi costruttive, più una di frequentazione tarda (Tuteri 2005).

La campagna di scavo del 2000-2001 ha interessato l’area compresa tra il tempio italico a E e il muro di cinta (temenos) a W. I rinvenimenti, pochi anni prima, di una grande quantità di votivi facevano supporre l’esistenza di un deposito, che venne poi identificato e scavato portando alla luce centinaia di oggetti.

I votivi rinvenuti sono per la quasi totalità fittili, insieme ad una quantità di materiale ceramico; la quantità di bronzo e metalli è molto scarsa. L’elenco stilato nella pubblicazione già effettuata nel 2005 (Tuteri, cit.) comprende più di 100 statuette femminili tipo tanagrine, o testine pertinenti a queste; in più una kourotrophos seduta che allatta il bambino e due neonati in fasce; più di 50 teste velate (dimens. da 10 a 30 cm), quasi tutte femminili; più di 60 animali fittili, tra cui circa 50 bovini, un cavallo e un orso; frammenti di volatili (colombe, forse un’oca); anatomici fittili, tra piedi, mani e genitali maschili (1) e femminili (4); 2 thymiateria a calice con alto fusto; 2 oscilla raffiguranti l’uno un giovane nudo, l’altro un erote; un’applique in bronzo a foglia di vite; ceramica comune e a vernice nera;  monete in bronzo; una base in pietra iscritta; una macina a tramoggia in pietra vulcanica, in assoluto la prima rinvenuta in un contesto sacro.

Durante lo scavo del 2000-2001, su tutta l’estensione della superficie scavata in località Pantano, è stato rinvenuto un totale di 49 monete. Di queste una sola è un denario in argento di C. Cassius, della zecca di Roma, datato al 126 a.C.; tutte le altre sono in bronzo, in grandissima parte romane repubblicane (24) e imperiali e tardo antiche (22); solo due sono prodotte dalle zecche dell’Italia meridionale, una di Suessa Aurunca e una di Arpi, entrambe provenienti dall’area del deposito votivo.                   

Il rinvenimento di una tanto cospicua quantità di materiali ha permesso di formulare diverse ipotesi a proposito del tipo di culto praticato all’interno dei due templi del santuario. Intanto le divinità esplicitamente raffigurate, o richiamate mediante la rappresentazione dei loro attributi, sono diverse: un symplegma  (gruppo) fittile rappresenta Demetra e Core abbracciate, cui si accompagna la notizia del rinvenimento nel 1949, in località Tre Croci, di un’iscrizione in peligno ora dispersa, che menzionerebbe una Ceri- pri(stafalacirix?); alcuni oggetti richiamano esplicitamente Ercole, raffigurato in assalto in bronzetti simili a quelli dei santuari di Sulmona e Corfinio, e Dioniso, richiamato dal piatto figurato di una lucerna a volute in vernice nera con l’immagine di un satiro ubriaco, ma anche da un’applique bronzea a forma di foglia di vite. Altre divinità attestate sono Diana-Artemide, cui sarebbe pertinente una statuina femminile insieme alle rappresentazioni fittili di cavalli e colombe; e Marte con il nome greco Ares, cui è dedicata una basetta iscritta nel deposito votivo, databile tra la fine del III e gli inizi del II a.C.    

La divinità principale del tempietto italico, però, sembra ancora una volta Cerere, come al solito connessa strettamente con Venere (Prosdocimi 1989): secondo l’interpretazione di R. Tuteri il santuario avrebbe, di per sé, carattere “giovio”, mentre il terrazzo inferiore con il tempietto italico avrebbe marcata connotazione cereria. In questo ambito si inserirebbe un ulteriore elemento, quello dionisiaco (Tuteri 2005). Il panorama religioso non sembra comunque molto differente da quello delineato per il santuario di Corfinio.