Corfinio, "metropoli dei Peligni"

(Estratto da: A. Dionisio, La valle del Sagittario e la conca peligna tra il IV e il I sec. a.C., cds in Archaeopress Archaeology, Oxford, pp. 58-60)

 

L’attuale centro abitato di Corfinio, un piccolo paese di circa 1000 abitanti a poca distanza da Sulmona (AQ), si trova in corrispondenza del Castrum de Pentoma[1] medievale e fino al 1923 Corfinio è stata denominata Pentima, nome dalla probabile origine mediterranea[2]. Nel Medioevo il sito occupato dall’abitato romano dopo la guerra sociale, che -ricordiamo- aveva assunto primaria importanza durante il sollevamento come capitale dei Socii italici (90-88 a.C.) e che si estendeva a valle dell’insediamento italico, ricevette il nome di Balba, poi Balva e infine Valva[3], che oggi è rimasto come toponimo della cattedrale e della diocesi; il vero e proprio nucleo abitato si restrinse all’altura, rioccupando l’area su cui già insisteva l’insediamento italico[4].

La posizione di tale nucleo è di primaria importanza per spiegarne l’incidenza storica: Corfinio si trova infatti a poca distanza dalla sponda est del fiume Aterno, non lontano dalla confluenza con il Sagittario, occupando quindi come la maggior parte delle città antiche una posizione inter amnes; la prova dell’importanza del sito fin dalla preistoria è data dal rinvenimento di tracce di frequentazione (manufatti neolitici in pietra levigata) risalenti al IV millennio a.C., nonché dalla vicinanza con il sito delle Svolte di Popoli, frequentato fin dal Paleolitico. L’occupazione stabile di diversi siti nei pressi dell’attuale Corfinio (Raiano, Popoli, Roccacasale) è certa a partire dal II millennio a.C.[5]

L’antica Corfinio era situata a SW del castrum medievale, all’incrocio tra due assi viari: uno, trasversale, che coincide con un tratto della via Valeria (attuale via Poppedio); l’altro, longitudinale e proveniente da SE, rappresentato dalla via di Pratola. Il primo nucleo della città antica, secondo le ultime ipotesi, era posto nello stesso luogo poi rioccupato dal castrum, su di un’altura naturalmente fortificata sui lati nord, est e ovest, per poi svilupparsi su un pianoro adiacente al lato meridionale in età romana[6]. Un altro percorso, a carattere rurale, metteva in relazione la città con la fascia pedemontana della Maiella, presso cui era ubicato il santuario in località Fonte Sant’Ippolito.

La scelta della cima dell’altura come luogo per la fondazione dell’insediamento è dettata essenzialmente da due fattori: la difendibilità –l’altura è fortificata naturalmente, ma facilita anche la costruzione di opere difensive-; e, non meno importante, la possibilità di controllare a vista –senza essere visti a propria volta- la via pedemontana del Morrone, importante percorso tratturale che costeggiava il fianco del monte con direzione SE-NW e che sboccava naturalmente nelle gole di Popoli[7]; non è un caso che i principali santuari della zona, Sant’Ippolito ed Ercole Curino, siano ubicati proprio in stretto collegamento con tale asse viario, e che lungo essa si rinvengano le testimonianze della più antica frequentazione della zona.      

La città può essere considerata il più antico centro definibile in senso lato come “urbano” in tutta la conca peligna, e come tale era percepita anche dagli antichi visitatori del luogo, se Strabone la definisce “metropoli dei Peligni” [8], differenziandola nettamente rispetto agli altri insediamenti, che mantennero, fino ad un’età piuttosto tarda, il rango di  “villaggi” agli occhi dei romani[9].

L’impostazione urbana del centro, il rapporto fra questo e il territorio di pertinenza e la destinazione d’uso degli spazi interni alla città non sembrano accusare grandi discontinuità a partire dalla nascita dell’impianto urbano alla guerra sociale (V sec. a.C.- 90 a.C.); ciò è ben testimoniato anche dalla lunga durata di uso delle necropoli meridionali (via di Pratola, Madonna delle Grazie) e della necropoli dell’Impianata, lungo la via per Sant’Ippolito; il ruolo della città nei confronti del territorio circostante deve essere dunque rimasto identico, e si configura –come si è detto- come un ruolo di assoluta preminenza, data anche la presenza di pochissimi vici satelliti di piccole dimensioni (finora se ne conoscono due, Colle S. Martino e Piano S. Giacomo, entrambi situati a W del centro maggiore).

Ciò che ha favorito tale conservazione –è stato rilevato- è il collegamento con l’area meridionale della conca peligna e il fatto che il centro svolge la funzione di “avamposto verso nord di una rete di percorsi provenienti dall’entroterra peligno”[10], percorsi organizzati secondo l’unico schema possibile, che è – come si è detto- quello che segue la direzione delle valli e delle sponde dei fiumi, in un territorio per la maggior parte montuoso; i collegamenti a sud oltrepassano l’area di Sulmona e Cansano per giungere molto lontano, in piena area sannita mediante le arterie passanti per le valli del Gizio e del Sagittario, con le rispettive località di Pettorano e Anversa; e il fatto che Corfinio da una parte e Fonte d’Amore dall’altra risentano particolarmente del contatto con i Sanniti Pentri, e attraverso di essi con la Daunia, è assai percepibile nell’analisi dei corredi funerari tra il IV e la metà del III secolo a.C.

 



[1] Colella 1935, p. 435; Wonterghem 1974, p. 642.

[2] Santoro 1978, pp. 104-105.

[3] Serra 1956, pp. 397-398.

[4] Campanelli 1999, p. 377.

[5] Ibidem, p. 377; per le Svolte di Popoli, Tuteri et al. 2011, p. 10. Per una mappa del popolamento nell’età del Bronzo, ibidem, p. 13.

[6] Romito, Sangiovanni 2008.

[7] Wonterghem 1974, p. 642; Wonterghem 1984; Campanelli 1999, p. 377. 

[8] Strab. V, 3, 11.

[9] Fest., fr. 502 L.

[10] Campanelli 1999, p. 378.

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